giovedì 15 dicembre 2016

L'Albero di Natale e l'asse del mondo



Non è un caso se, tra i simboli del Natale, il più rappresentato, anche fuori dai confini del mondo cristiano, sia proprio l’albero di Natale. Non c’è luogo del mondo in cui non  vi sia, almeno nella capitale, un albero di Natale addobbato a festa. Lo ritroviamo anche in paesi molto lontani dal nostro occidente così come nelle case dei più laici fra ebrei o musulmani.


Dicevo che non è un caso perché l’albero è un simbolo praticamente presente in ogni cultura, spesso allestito proprio in occasione del periodo che stiamo venendo a vivere: il solstizio d’inverno.
Questa data ha sempre rappresentato un momento importante nel ciclo delle stagioni. Da un lato era il giorno più corto dell’anno ma, d’altra parte, rappresentava anche l’inizio di una nuova fase. Dopo il momento più oscuro, più buio, dopo che le tenebre avevano preso il sopravvento, tornava la luce. Il solstizio era un tempo di morte ma anche di rinascita.
E decorare alberi, alberi da frutto ma principalmente sempreverdi, per la loro connotazione ancora più positiva, era un’abitudine di molte culture, in questo periodo dell’anno. I Celti usavano addobbare alberi proprio per il solstizio d’inverno. E così i Romani ornavano le loro case con rami di pino durante le Calende di Gennaio.
 Un primo significato di questa usanza è sicuramente l’analogia fra la natura sempreverde della pianta e la vita dell’anno che muore e rinasce. Anno non come lo intendiamo noi moderni, una semplice scansione pratica del tempo, ma come ciclo delle stagioni e del conseguente corso degli astri in cielo.
D’altra parte però l’albero è un simbolo che si ritrova in moltissime culture non per forza legato al tema del solstizio ma al tema della vita. Per i popoli indoeuropei ma anche per i cinesi o le genti di lingua ugro finnica, l’albero è spesso il simbolo dell’asse del mondo, il pilastro portante dell’intero universo e dei suoi mondi.
Prima di considerare il mito più ricco da questo punto di vista, quello dell’Yggdrasill, vorrei soffermarmi su altri alberi “famosi” nella storia della mitologia.
Abbiamo già trattato della ricorrenza, nelle storie dell’antica Grecia, di donne – albero come Dafne o Mirra. Proprio in Grecia, troviamo uno dei culti più antichi, risalente a un periodo pre - ellenico e poi adattato alla religione olimpica, quello della quercia di Dodona. Ci troviamo in Epiro, nella sede di un santuario dedicato, in epoca storica, a Zeus e a Dione, un nome generico per indicare una divinità femminile che nasconde il riferimento alla dea madre.  Che fosse, in origine, un culto riservato a una dea, è chiaro dal fatto che i ministri di Dodona erano soprattutto donne, sacerdotesse chiamate colombe. Esse vivevano all’aperto e interpretavano il volere della divinità dal fruscio delle foglie dell’albero sacro. In questo caso ci troviamo di fronte a un mito legato, ancora una volta, all’antica dea madre venerata presso i popoli mediterranei. È  chiaro indizio anche il fatto che il culto si svolgeva all’aperto così come doveva avvenire anche a Creta.

Ma nella Grecia classica manca qualsiasi riferimento all’albero come pilastro dell’universo. È invece nel folklore moderno che compare questo concetto. Per i Greci e i Ciprioti in particolare esistono delle grottesche creature, a volte simili a lupi, altre a scimmie, chiamate Kallikantzaroi. Questi mostriciattoli trascorrono l’intero anno sotto terra rosicchiando appunto l’albero che regge la terra. Durante i dodici giorni del Natale essi escono in superficie, approfittando del periodo di oscurità, per seminare il panico e la follia fra la gente. In realtà, ogni loro sforzo è vano poiché, proprio a Natale, l’albero si rigenera completamente grazie all’intervento di Cristo.


Questo mito ha, probabilmente, origini turche così come il nome di questi strani goblins. In ogni caso, ha molto in comune con altri miti, ben più antichi e articolati, che troviamo soprattutto nel nord Europa. Intanto l’albero è visto come l’asse del mondo. In secondo luogo, la sua vita riprende proprio a ridosso del solstizio d’inverno nei dodici giorni cruciali della Yuletide.
Yule è un termine dall’etimologia incerta. Potrebbe derivare dall’antico norvegese e significare ruota. Il senso di ruota del tempo sarebbe chiarissimo e andrebbe ad arricchire di significato questo periodo dell’anno in cui la ruota delle stagioni torna a risalire dal buio verso la luce. Ma potrebbe anche essere più antico delle parlate indoeuropee. In ogni caso non molto è rimasto, in termini di documenti scritti, sui festeggiamenti e i riti di questa importante ricorrenza. Di certo, era prescritto riposo e divertimento e si sacrificava un maiale al dio Freyr. Quel poco che sappiamo, lo dobbiamo in gran parte ai monaci che evangelizzarono queste genti e cercarono di recuperare alcuni dei simboli pagani all’interno della festa del Natale. Tra questi l’agrifoglio, il vischio e naturalmente l’albero sempreverde o carico di frutti.


È proprio fra i popoli germanici che troviamo i miti più ricchi e complessi sull’albero. I Sassoni veneravano l’Irminsul, un totem che rappresentava un albero stilizzato a due braccia che simboleggiava il pilastro cosmico come base della vita nell’universo. Questi monumenti dovevano essere molto frequenti in tutto il nord Europa ma vennero abbattuti già al tempo di Carlo Magno nelle sue guerre contro i Sassoni.

 Insieme a questi monumenti di pietra, dovevano essere presenti anche alberi vivi come la quercia di Thor distrutta da San Bonifacio per dimostrare la falsità degli dei pagani. Si racconta nel mito che, poiché il dio norreno non intervenne a fermare la distruzione della sua pianta, i pagani si convertirono all’istante. Una leggenda più elaborata narra che dietro quella quercia comparve un giovane abete sempreverde, simbolo a un tempo della nuova religione cristiana e della trinità, come suggerisce la sua forma triangolare.


Ma l’Irminsul sassone è stretto parente dell’Yggdrasill, l’albero cosmico dei vichinghi. Come abbiamo già anticipato, esso è il più complesso fra gli alberi sia per struttura che per i miti che gli ruotano intorno.
Intanto il nome significherebbe “cavallo di Odino” e divenne poi sinonimo di patibolo dato che, su questo albero, Odino rimase appeso/impiccato per nove giorni e nove notti, trafitto al costato da una lancia, sacrificando se stesso a se stesso per guadagnare la conoscenza universale.  Il nove non è una cifra a caso ma corrisponde esattamente al numero dei mondi che l’albero stesso attraversa e sostiene che vanno dal freddo di Asgard al fuoco di Hel. E, al tempo stesso, nove è anche il numero dei livelli dell’esistenza, i gradi di conoscenza che Odino ha dovuto assorbire durante il suo sacrificio. 


Dunque l’Yggdrasill è il fondamento non solo dello spazio ma anche del tempo. Infatti da una delle sue radici sgorga la fonte di Udhr, che si trova a Midgard. Da essa attingono le Norne per conoscere il destino degli uomini. Un’altra fonte, Mimir, scorre nello Jotunheim, la terra dei giganti, e ad essa si abbeverò Odino per ricevere la sapienza. Nelle tetre regioni dei trapassati c’è infine la terza radice dell’albero, continuamente rosicchiata da rettili velenosi a capo dei quali c’è nidhhöggr, un dragone terribile che infligge immenso dolore al grande frassino. Suo scopo, come quello dei Kallikantzaroi ciprioti, è abbatterlo definitivamente.


 Quando Yggdrasill cadrà, trascinerà con sé tutto il creato dando inizio alla fine del mondo. Questa caduta, questa distruzione apocalittica che, nella mitologia norrena, viene identificata con il Ragnarok, non deve essere però intesa come definitiva. Essa è solo il segno di un cambiamento a livello celeste. Attraverso l’immagine dell’asse del mondo infatti i popoli antichi cercavano di visualizzare il comportamento della Terra rispetto all’orbita dell’ellittica, in poche parole cercavano di spiegare, in un linguaggio mitico, la precessione degli equinozi che, a intervalli di migliaia di anni, cambia il cielo e i punti di riferimento astronomici e segna l’inizio di una nuova era. In questo senso l’albero non solo simboleggia lo scorrere del tempo terrestre con il ciclo delle stagioni ma anche lo scorrere del tempo dell’intero universo e l’Yggdrasill, con la sua immensa struttura e i suoi mondi, indica proprio la giusta direzione nell’interpretare questo archetipo così ricorrente nelle mitologie più diverse. Ne è una prova il fatto che nell’Edda poetica viene definito “albero misuratore”, appunto l’Yggdrasill, nel linguaggio dei bardi, è un gigantesco calendario astronomico.
Gli studiosi si sono chiesti come mai, di tutti i popoli indoeuropei, solo quelli del nord Europa possiedono il concetto di asse del mondo legato alla figura di un albero. Questo perché, a differenza degli indoeuropei che si stanziarono nel Mediterraneo, Germani, Sassoni e Vichinghi, vennero in contatto con le genti ugro finniche che abitavano le regioni settentrionali, dal Baltico alla Siberia, prima dell’arrivo degli slavi.

 La religione di questi popoli era di tipo sciamanica e quindi fortemente legata agli elementi della natura. Lo stesso Odino, in alcuni tratti, presenta aspetti sciamanici (le sue abilità stregonesche, la capacità di trasformarsi in animale, il suo vagabondare fra gli uomini sotto mentite spoglie). Ed è proprio nelle mitologie di questi antichi popoli, come hanno anche dimostrato De Santillana e Von Deschen in “Il mulino di Amleto” che l’albero è simbolo dell’asse del mondo.
Durante i primi anni dell’era cristiana, all’albero si preferì l’agrifoglio che, con le sue spine, preannunciava la passione di Cristo. Solo nel Medioevo si cominciò a rivalutare il paganesimo come religione anticipatrice, anche se inconsapevole, di concetti cristiani. Nell’Europa del Nord, quindi, a Natale si ricominciò a illuminare le notti d’inverno, le dodici notti di Yule, con l’albero. L’usanza, tipica dei paesi di lingua tedesca, approdò in Inghilterra grazie al consorte della regina Vittoria, Alberto di Sassonia- Coburgo – Gotha.


Da lì, il suo uso si diffuse in tutto il mondo fino ad arrivare, in via ufficiale, a piazza San Pietro nel 1982. Secondo la simbologia cristiana, l’albero è simbolo della rinascita di Cristo e della sua croce, fatta di legno appunto. Secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, Adamo moribondo avrebbe ricevuto, come segno di conforto, un ramoscello dell’albero della vita dall’Arcangelo Gabriele e da esso sarebbe poi nato quell’albero dal cui legno sarebbe stata costruita la croce di Cristo. La luce di cui gli alberi di Natale sono ricchi rappresenta essa stessa Cristo che, con la sua venuta, libera il mondo dalle tenebre.
Ma rappresenta anche la volta celeste, le stelle fisse, le costellazioni e i pianeti che l’asse del mondo sostiene da tempi immemorabili, immobile, eterno, gigantesco e fragile, pronto a morire e a rinascere come ogni anno, nel solstizio d’inverno.


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