Non è un caso se, tra i simboli
del Natale, il più rappresentato, anche fuori dai confini del mondo cristiano,
sia proprio l’albero di Natale. Non c’è luogo del mondo in cui non vi sia, almeno nella capitale, un albero di
Natale addobbato a festa. Lo ritroviamo anche in paesi molto lontani dal nostro
occidente così come nelle case dei più laici fra ebrei o musulmani.
Dicevo che non è un caso perché
l’albero è un simbolo praticamente presente in ogni cultura, spesso allestito
proprio in occasione del periodo che stiamo venendo a vivere: il solstizio
d’inverno.
Questa data ha sempre
rappresentato un momento importante nel ciclo delle stagioni. Da un lato era il
giorno più corto dell’anno ma, d’altra parte, rappresentava anche l’inizio di
una nuova fase. Dopo il momento più oscuro, più buio, dopo che le tenebre
avevano preso il sopravvento, tornava la luce. Il solstizio era un tempo di
morte ma anche di rinascita.
E decorare alberi, alberi da
frutto ma principalmente sempreverdi, per la loro connotazione ancora più
positiva, era un’abitudine di molte culture, in questo periodo dell’anno. I
Celti usavano addobbare alberi proprio per il solstizio d’inverno. E così i
Romani ornavano le loro case con rami di pino durante le Calende di Gennaio.
Un
primo significato di questa usanza è sicuramente l’analogia fra la natura
sempreverde della pianta e la vita dell’anno che muore e rinasce. Anno non come
lo intendiamo noi moderni, una semplice scansione pratica del tempo, ma come
ciclo delle stagioni e del conseguente corso degli astri in cielo.
D’altra parte però l’albero è un
simbolo che si ritrova in moltissime culture non per forza legato al tema del
solstizio ma al tema della vita. Per i popoli indoeuropei ma anche per i cinesi
o le genti di lingua ugro finnica, l’albero è spesso il simbolo dell’asse del
mondo, il pilastro portante dell’intero universo e dei suoi mondi.
Prima di considerare il mito più
ricco da questo punto di vista, quello dell’Yggdrasill, vorrei soffermarmi su
altri alberi “famosi” nella storia della mitologia.
Abbiamo già trattato della
ricorrenza, nelle storie dell’antica Grecia, di donne – albero come Dafne o
Mirra. Proprio in Grecia, troviamo uno dei culti più antichi, risalente a un
periodo pre - ellenico e poi adattato alla religione olimpica, quello della
quercia di Dodona. Ci troviamo in Epiro, nella sede di un santuario dedicato,
in epoca storica, a Zeus e a Dione, un nome generico per indicare una divinità
femminile che nasconde il riferimento alla dea madre. Che fosse, in origine, un culto riservato a
una dea, è chiaro dal fatto che i ministri di Dodona erano soprattutto donne,
sacerdotesse chiamate colombe. Esse vivevano all’aperto e interpretavano il
volere della divinità dal fruscio delle foglie dell’albero sacro. In questo
caso ci troviamo di fronte a un mito legato, ancora una volta, all’antica dea
madre venerata presso i popoli mediterranei. È
chiaro indizio anche il fatto che il culto si svolgeva all’aperto così
come doveva avvenire anche a Creta.
Ma nella Grecia classica manca
qualsiasi riferimento all’albero come pilastro dell’universo. È invece nel
folklore moderno che compare questo concetto. Per i Greci e i Ciprioti in
particolare esistono delle grottesche creature, a volte simili a lupi, altre a
scimmie, chiamate Kallikantzaroi. Questi mostriciattoli trascorrono l’intero
anno sotto terra rosicchiando appunto l’albero che regge la terra. Durante i
dodici giorni del Natale essi escono in superficie, approfittando del periodo
di oscurità, per seminare il panico e la follia fra la gente. In realtà, ogni
loro sforzo è vano poiché, proprio a Natale, l’albero si rigenera completamente
grazie all’intervento di Cristo.
Questo mito ha, probabilmente, origini turche
così come il nome di questi strani goblins. In ogni caso, ha molto in comune
con altri miti, ben più antichi e articolati, che troviamo soprattutto nel nord
Europa. Intanto l’albero è visto come l’asse del mondo. In secondo luogo, la
sua vita riprende proprio a ridosso del solstizio d’inverno nei dodici giorni
cruciali della Yuletide.
Yule è un termine dall’etimologia
incerta. Potrebbe derivare dall’antico norvegese e significare ruota. Il senso
di ruota del tempo sarebbe chiarissimo e andrebbe ad arricchire di significato
questo periodo dell’anno in cui la ruota delle stagioni torna a risalire dal
buio verso la luce. Ma potrebbe anche essere più antico delle parlate
indoeuropee. In ogni caso non molto è rimasto, in termini di documenti scritti,
sui festeggiamenti e i riti di questa importante ricorrenza. Di certo, era
prescritto riposo e divertimento e si sacrificava un maiale al dio Freyr. Quel
poco che sappiamo, lo dobbiamo in gran parte ai monaci che evangelizzarono
queste genti e cercarono di recuperare alcuni dei simboli pagani all’interno
della festa del Natale. Tra questi l’agrifoglio, il vischio e naturalmente
l’albero sempreverde o carico di frutti.
È proprio fra i popoli germanici
che troviamo i miti più ricchi e complessi sull’albero. I Sassoni veneravano
l’Irminsul, un totem che rappresentava un albero stilizzato a due braccia che
simboleggiava il pilastro cosmico come base della vita nell’universo. Questi
monumenti dovevano essere molto frequenti in tutto il nord Europa ma vennero
abbattuti già al tempo di Carlo Magno nelle sue guerre contro i Sassoni.
Insieme
a questi monumenti di pietra, dovevano essere presenti anche alberi vivi come
la quercia di Thor distrutta da San Bonifacio per dimostrare la falsità degli
dei pagani. Si racconta nel mito che, poiché il dio norreno non intervenne a
fermare la distruzione della sua pianta, i pagani si convertirono all’istante.
Una leggenda più elaborata narra che dietro quella quercia comparve un giovane
abete sempreverde, simbolo a un tempo della nuova religione cristiana e della
trinità, come suggerisce la sua forma triangolare.
Ma l’Irminsul sassone è stretto
parente dell’Yggdrasill, l’albero cosmico dei vichinghi. Come abbiamo già
anticipato, esso è il più complesso fra gli alberi sia per struttura che per i
miti che gli ruotano intorno.
Intanto il nome significherebbe
“cavallo di Odino” e divenne poi sinonimo di patibolo dato che, su questo
albero, Odino rimase appeso/impiccato per nove giorni e nove notti, trafitto al costato da una lancia, sacrificando
se stesso a se stesso per guadagnare la conoscenza universale. Il nove non è una cifra a caso ma corrisponde
esattamente al numero dei mondi che l’albero stesso attraversa e sostiene che
vanno dal freddo di Asgard al fuoco di Hel. E, al tempo stesso, nove è anche il
numero dei livelli dell’esistenza, i gradi di conoscenza che Odino ha dovuto
assorbire durante il suo sacrificio.
Dunque l’Yggdrasill è il
fondamento non solo dello spazio ma anche del tempo. Infatti da una delle sue
radici sgorga la fonte di Udhr, che si trova a Midgard. Da essa attingono le
Norne per conoscere il destino degli uomini. Un’altra fonte, Mimir, scorre
nello Jotunheim, la terra dei giganti, e ad essa si abbeverò Odino per ricevere
la sapienza. Nelle tetre regioni dei trapassati c’è infine la terza radice
dell’albero, continuamente rosicchiata da rettili velenosi a capo dei quali c’è nidhhöggr, un dragone terribile che infligge immenso dolore al grande
frassino. Suo scopo, come quello dei Kallikantzaroi ciprioti, è
abbatterlo definitivamente.
Quando Yggdrasill cadrà, trascinerà con sé tutto il
creato dando inizio alla fine del mondo. Questa caduta, questa distruzione
apocalittica che, nella mitologia norrena, viene identificata con il Ragnarok,
non deve essere però intesa come definitiva. Essa è solo il segno di un
cambiamento a livello celeste. Attraverso l’immagine dell’asse del mondo
infatti i popoli antichi cercavano di visualizzare il comportamento della Terra
rispetto all’orbita dell’ellittica, in poche parole cercavano di spiegare, in
un linguaggio mitico, la precessione degli equinozi che, a intervalli di
migliaia di anni, cambia il cielo e i punti di riferimento astronomici e segna
l’inizio di una nuova era. In questo senso l’albero non solo simboleggia lo
scorrere del tempo terrestre con il ciclo delle stagioni ma anche lo scorrere
del tempo dell’intero universo e l’Yggdrasill, con la sua immensa struttura e i
suoi mondi, indica proprio la giusta direzione nell’interpretare questo archetipo
così ricorrente nelle mitologie più diverse. Ne è una prova il fatto che nell’Edda
poetica viene definito “albero misuratore”, appunto l’Yggdrasill, nel
linguaggio dei bardi, è un gigantesco calendario astronomico.
Gli studiosi si sono chiesti come
mai, di tutti i popoli indoeuropei, solo quelli del nord Europa possiedono il
concetto di asse del mondo legato alla figura di un albero. Questo perché, a
differenza degli indoeuropei che si stanziarono nel Mediterraneo, Germani,
Sassoni e Vichinghi, vennero in contatto con le genti ugro finniche che
abitavano le regioni settentrionali, dal Baltico alla Siberia, prima dell’arrivo
degli slavi.
La religione di questi popoli era di tipo sciamanica e quindi
fortemente legata agli elementi della natura. Lo stesso Odino, in alcuni
tratti, presenta aspetti sciamanici (le sue abilità stregonesche, la capacità
di trasformarsi in animale, il suo vagabondare fra gli uomini sotto mentite
spoglie). Ed è proprio nelle mitologie di questi antichi popoli, come hanno
anche dimostrato De Santillana e Von Deschen in “Il mulino di Amleto” che l’albero
è simbolo dell’asse del mondo.
Durante i primi anni dell’era
cristiana, all’albero si preferì l’agrifoglio che, con le sue spine,
preannunciava la passione di Cristo. Solo nel Medioevo si cominciò a rivalutare
il paganesimo come religione anticipatrice, anche se inconsapevole, di concetti
cristiani. Nell’Europa del Nord, quindi, a Natale si ricominciò a illuminare le
notti d’inverno, le dodici notti di Yule, con l’albero. L’usanza, tipica dei
paesi di lingua tedesca, approdò in Inghilterra grazie al consorte della regina
Vittoria, Alberto di Sassonia- Coburgo – Gotha.
Da lì, il suo uso si diffuse in
tutto il mondo fino ad arrivare, in via ufficiale, a piazza San Pietro nel
1982. Secondo la simbologia cristiana, l’albero è simbolo della rinascita di
Cristo e della sua croce, fatta di legno appunto. Secondo la Legenda Aurea di
Jacopo da Varazze, Adamo moribondo avrebbe ricevuto, come segno di conforto, un
ramoscello dell’albero della vita dall’Arcangelo Gabriele e da esso sarebbe poi
nato quell’albero dal cui legno sarebbe stata costruita la croce di Cristo. La
luce di cui gli alberi di Natale sono ricchi rappresenta essa stessa Cristo
che, con la sua venuta, libera il mondo dalle tenebre.
Ma rappresenta anche la volta
celeste, le stelle fisse, le costellazioni e i pianeti che l’asse del mondo
sostiene da tempi immemorabili, immobile, eterno, gigantesco e fragile, pronto
a morire e a rinascere come ogni anno, nel solstizio d’inverno.
Nessun commento:
Posta un commento