lunedì 28 novembre 2016

La mela nell'immaginario occidentale

Quando Alan Turing decise di mettere fine alla propria vita, scelse di ispirarsi alla sua fiaba preferita. Prese una mela rossa, le iniettò il veleno, cianuro di potassio, e la morse. In questo modo, come Biancaneve, cadde in un sonno eterno senza però la speranza che un principe sarebbe venuto a svegliarlo. Turing mise fine alla propria esistenza dopo essere stato condannato alla castrazione chimica mediante assunzione di massicce dosi di estrogeni. A causa dell’innaturale trasformazione del proprio corpo e delle continue umiliazioni subite, Turing giunse alla decisione di suicidarsi. Eppure Alan Turing fu un esperto informatico grazie al quale venne creata la macchina Enigma, in grado di decifrare i codici segreti nazisti. Quindi, diede un contributo importante alla buona riuscita della seconda guerra mondiale e al futuro sviluppo dell’informatica.


Fu proprio per rendere omaggio a questo sfortunato scienziato, vittima delle leggi omofobiche del suo tempo, che Steve Jobs decise di scegliere, come logo della sua azienda informatica, una mela addentata. Una mela, dunque, un frutto allo stesso tempo del tutto innocente con cui si preparano torte casalinghe ma anche un simbolo molto spesso associato al peccato e alla morte.
La mela compare presto nell’immaginario occidentale, ben prima che le storie dell’Antico Testamento approdassero sulle coste europee. Fu una mela d’oro a provocare la guerra di Troia, ad esempio. Eris, la dea della discordia, volle vendicarsi del mancato invito al banchetto di nozze fra Teti e Peleo, i futuri genitori di Achille. Per questo motivo, si introdusse di nascosto alla festa e fece rotolare di fronte a Zeus un pomo tutto d’oro con su incisa la fatidica scritta: “Alla più bella”.


 Zeus non volle prendersi la responsabilità della scelta e venne designato un giovane pastorello i cui illustri natali erano ancora sconosciuti ai più. Il pastorello non era altri che Paride, abbandonato sul Monte Ida appena nato per gli oscuri presagi che ne avevano funestato la nascita. Fu Paride a donare la mela d’oro alla dea Afrodite, dopo una gara a cui parteciparono anche Era e Atena. Afrodite convinse il giovane promettendogli la mano della donna più bella del mondo, Elena, incurante del fatto che la fanciulla era già sposata con un altro uomo. La mela in questo mito è quindi legata al tema del connubio fra uomo e donna e all’amore sensuale rappresentato dalla dea Afrodite.


Ma il mito più rappresentativo e complesso che riguarda questo frutto è quello dei pomi delle Esperidi. Anche questi frutti vengono descritti come dorati e crescevano in un giardino remoto, collocato nell’estremo occidente, ai confini del mondo abitato. Le ninfe che si prendevano cura di questo giardino erano figlie della Notte. Chiaramente sia la collocazione del luogo mitico che la parentela di queste dee richiama il tema della morte. Il meraviglioso albero era stato donato dalla madre Gea ai suoi figli Era e Zeus per il loro matrimonio ed era custodito da un grosso serpente o drago, Ladone, che aveva cento teste.


 Quando l’albero veniva minacciato da una presenza estranea queste teste iniziavano a cantare tutte insieme cento melodie diverse. Fu Eracle, costretto da Euristeo, a rubare tre di questi frutti e a sconfiggere il serpente Ladone il quale poi venne trasformato in una costellazione. Si tratta di una delle più grandi del cielo boreale. Il serpente, con le sue lunghe spire, sfiora entrambe le Orse e veniva paragonato dagli antichi a un fiume come fa lo stesso Virgilio. Non per nulla il suo nome ha a che fare con l’acqua e il concetto di umido. Il mito, raccontato in svariate versioni, prevede a volte l’intervento di Atlante, il titano condannato a sostenere per sempre la volta celeste.


In seguito, le mele d’oro ricompaiono nel mito di Atalanta e Melanione. La ragazza che non voleva sposarsi sottoponeva i suoi pretendenti a una gara di corsa che si concludeva, ogni volta, con la morte dello sconfitto. Melanione, innamorato della fanciulla, riuscì a rallentare la corsa di lei facendo cadere, lungo il percorso di gara, le tre mele d’oro. Atalanta, irresistibilmente attratta dai frutti, venne sconfitta e sposò Melanione.


Dunque, nel mito classico, le mele sono spesso legate al tema del matrimonio ma hanno anche una valenza oscura come suggeriscono i finali di queste storie. L’unione fra Paride ed Elena provocherà la sanguinosa guerra di Troia che si concluderà con la fine dell’età degli eroi, quella subito precedente alla nostra. Le Esperidi, disperate per la perdita dei frutti d’oro, si tramuteranno in albero. Melanione e Atalanta, presi dalla passione amorosa, si accoppieranno nel tempio di Zeus e, per questo sacrilegio, verranno tramutati in leoni.
Ma prima di giungere a un’eventuale conclusione sul significato di questo simbolo, sarà meglio fare un viaggio nelle terre del nord Europa, in quella mitologia norrena all’apparenza lontana dal mondo classico e in cui, invece, a una lettura più attenta, si possono trovare molte similitudini con i miti greci. Prima però bisognerà spiegare l’etimologia della parola mela sia nel mondo greco – latino che nel mondo vichingo/germanico.
Mela in greco si diceva mallon/mellon e da questa stessa parola arriva fino a noi. Ma, in antichità, più che indicare il frutto odierno stava a significare il frutto in generale. Tanto è vero che esistevano diverse varietà di frutta che venivano chiamate mele con l’aggiunta di un aggettivo che ne indicava la peculiarità o l’origine. La pesca ad esempio era la mela persica perché veniva appunto dalla Persia. Anche nel mondo germanico funzionava allo stesso modo. Ai tempi dei vichinghi il frutto della mela era sconosciuto e il termine veniva usato per indicare qualsiasi tipo di frutto. Apfel in tedesco così come apple in inglese vengono dalla radice indoeuropea *abel che ha lo stesso significato generico di mallon/mellon a suo volte derivante dalla radice *mel che vuol dire dolce.
Dunque, quando si parla di mele d’oro o di pomi della discordia non bisogna per forza pensare al nostro moderno frutto ma sforzarci di capire che per i popoli antichi la varietà di frutta non era poi così importante.
Nella mitologia norrena troviamo le mele in due miti importanti. Uno riguarda Freyr, il signore del mulino, dio della luce molto simile ad Apollo, che innamorato di Gerdr diede al suo servitore Skirnir nientemeno che undici mele da donare alla ragazza per convincerla a sposarlo. Ancora una volta quindi, le mele sono legate a un matrimonio anche se Gerdr non si lascerà convincere solo da questi frutti ma Skirnir dovrà provarle tutte prima di strapparle un sì. In compenso però l’amore di Freyr per Gerdr si rivelerà fatale per il dio. Skirnir, infatti, in cambio della missione, vorrà la spada di Freyr e quando arriverà il Ragnarok il dio si troverà privo della sua arma migliore e sarà destinato alla sconfitta.



Le mele sono al centro anche di un altro mito. Nella Lokasenna si narra che il dio Loki, a seguito di un litigio, fu costretto a rapire la dea Idun e le sue mele per il gigante Thiazi. Così come Eracle prima di lui, anche Loki compie questo gesto non di sua volontà ma perché costretto. Solo che, in questo caso, oltre ai fatidici frutti verrà rapita anche la dea che li custodisce, Idun. Tale divinità, legata alla vegetazione, alla fecondità della natura e alla fertilità, era sposa di Bragi, il dio della poesia, forse un altro aspetto del dio Odino. I frutti di Idun, chiamati semplicemente apfeli, erano indispensabili per gli Asi perché li mantenevano giovani e pieni di vita ed energia. Quando Thiazi si appropriò di Idun e delle sue mele, gli Asi cominciarono a invecchiare e costrinsero Loki a trovare una soluzione per riportare indietro Idun. Il dio degli inganni si trasformò in un’aquila, volò alla dimora di Thiazi, mentre questo era assente e portò via i frutti e Idun che, per comodità, si trasformò in una noce.


Troviamo qui sia il tema del furto divino che della metamorfosi arborea che facevano parte del mito delle Esperidi. Per inciso, di fanciulle trasformate in alberi è piena la mitologia antica. Basti pensare a Dafne che voleva preservare la propria verginità o a Mirra, distrutta dall’amore infelice per suo padre che addirittura partorirà suo figlio sotto forma di albero. Oggi forse è difficile collegare la figura di una fanciulla a quella di un albero ma diventa molto più semplice comprendere il collegamento se pensiamo che in greco come in latino il nome degli alberi era femminile. E per una buona ragione. Dopotutto, gli alberi producono i frutti come le donne mettono al mondo i figli.


La mela, il frutto in generale, è prima di tutto un chiaro riferimento alla fecondità e alla fertilità, doni tipicamente femminili. Idun è appunto la dea della fertilità così come Afrodite, che riceve il pomo della discordia da Paride, è la dea dell’amore come motore che muove la vita dell’intero cosmo. Nel suo De Rerum Natura, Lucrezio ci spiega bene l’alto compito di questa dea spesso invece legata solo a storie lascive. Anche Gerdr era probabilmente una dea della vegetazione così come lo era Nehalennia, dea germanica della fertilità. 


Essa veniva rappresentata insieme a un cane, accanto alla prua di una nave e con in mano un cesto pieno di frutti e pagnotte. Sono tutti simboli, allo stesso tempo, legati alla vegetazione ma anche alla vita nell’aldilà. Il cane è un animale infero come dimostra la presenza di Cerbero custode dell’Ade. Anche la barca aveva a che fare con i viaggi ultraterreni e i frutti non sono solo un simbolo di abbondanza su questa terra ma anche di prosecuzione della vita nell’aldilà. Innanzitutto, tornando al mondo nordico, l’idromele era la bevanda tipica del Walhalla che veniva anche chiamato “le sale dell’idromele”. Tale bevanda era scaturita, la prima volta, dal cadavere di Kvsar, un mitico vate. Essa garantiva la sopravvivenza anche dopo la morte agli eroi che avevano avuto accesso al Walhalla ed era bevuta anche e soprattutto dagli Asi.


Ma le mele come frutto dell’aldilà sono protagoniste di un altro mito famosissimo, una storia che ha superato ogni barriera di tempo e spazio, una storia molto probabilmente più antica di quanto si creda. Si narra infatti, fra i Celti, del mitico Artù trasportato dalla Fata Morgana in Avalon, dove giace addormentato in attesa che rinasca, quando il mondo avrà ancora bisogno di lui. Avalon significa proprio Isola delle Mele ed è un luogo collocato nell’estremo occidente, come il giardino delle Esperidi e che non è altro che l’isola dei beati, una sorta di luogo d’attesa per le anime degli eroi morti, un luogo privilegiato dell’aldilà. Adesso forse possiamo azzardare che la funzione delle mele non è solo quella di rendere esteticamente più piacevole questo triste luogo ma quello di fornire nutrimento e sopravvivenza alle anime dei trapassati.


Avalon ricorda da vicino l’irlandese Tir na NOg, la terra del giovane eterno, chiamata anche Emain Ablach, ovvero l’isola degli alberi di melo, in gallese Ynis Afallach, ancora una volta l’isola delle mele. In questo luogo mitico vivono i Thuata de Danann o Sidhe, le divinità celtiche dei Gaeli che poi vennero evemerizzati dai monaci che nel medioevo riportarono per iscritto queste leggende secondo un’ottica cristiana. Tra queste leggende compare anche la storia di un furto divino, quello dei tre figli di Tuiren che rubarono i frutti dal giardino di Hisberna.


È come se un cerchio si chiudesse, come se pezzettini di pane continuassero a portarci sempre nella stessa direzione.
In ognuna di queste storie ci sono riferimenti che tornano come segnali luminosi che ci vogliono portare verso una precisa direzione. Il frutto della mela quindi è legato al tema del furto divino, del matrimonio, della fertilità, della sconfitta e della morte. Il frutto della mela è dunque strettamente legato alla vita stessa. Nascita e morte, amore e sconfitta, audacia e fallimento sono tutti aspetti dell’esistenza e la mela contiene in sé tutti questi significati.  Essa è la porta per la felicità terrena, schiude il cuore della donna amata ma è anche causa di dolori e morte. Eppure essa è l’efficace strumento che preserva la vita anche dopo la morte.
In occidente, questa doppia valenza è sopravvissuta anche dopo che le storie dell’Antico Testamento sono penetrate nel mondo antico. Mentre non vi è traccia di mele nell’esegesi biblica ebraica, furono i commentatori latini a individuare nella mela il frutto del peccato originale probabilmente per un gioco di parole che vede malum nel doppio significato di mela e di male. La mela quindi come veicolo di disgrazia e di caduta, di sconfitta primigenia per la razza umana. Eva si fa tentare dal serpente attorcigliato all’albero della conoscenza del bene e del male. Lei e Adamo perderanno la loro innocenza e solo dopo genereranno due figli.



Ritroviamo ancora la mela nella fiaba di Biancaneve, così come abbiamo accennato all’inizio. La fanciulla mordendo la mela si addormenta in un sonno da cui solo il bacio del principe potrà svegliarla. La mela rossa simboleggia l’inizio della pubertà, il momento in cui la bambina diventa donna anche se la consacrazione di questo passaggio può avvenire solo nel matrimonio.


 Alla luce di ciò comprendiamo meglio il collegamento della mela con tutta la serie di matrimoni, divini e umani, che abbiamo incontrato nel nostro percorso. La mela, come emblematico frutto rosso, è legato alla femminilità e questo legame è ancestrale. Le nostre antenate del paleolitico che si dedicavano alla raccolta conoscevano bene le proprietà di questo cibo. Ancora oggi il colore delle donne è il rosso o il rosa come quello dei frutti edibili proprio perché delle donne era il regno vegetale. E così tanto potere avevano i frutti come portatori di nutrimento e vita, come sinonimo di fertilità della terra e fecondità della donna che gli venne attribuita la capacità di preservare la vita anche dopo la morte.   

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