Westworld è una serie
fantascientifica molto interessante anche perché si presta a varie letture e
può essere fruita su diversi livelli. Chi cerca solo l’avventura e l’azione
forse resterà deluso ma chi si lascerà guidare dagli indizi, ben distribuiti,
come le molliche di pane di Pollicino, farà un viaggio straordinario.
Il viaggio in Westworld, è
simboleggiato da un mitico Labirinto che, presto o tardi, tutti i personaggi si
ritrovano a cercare, costretti o per scelta volontaria. Nello specifico, questo
labirinto assomiglia moltissimo a quello della tribù nativa degli O’odham con
l’unica differenza che l’omino stilizzato, invece di stare all’esterno, sta all’interno
del Labirinto. L’androide Teddy spiega chiaramente che il Labirinto è un mito
dei nativi e così, in effetti, è anche nella realtà. Per gli O’odham, si tratta
della sede del dio creatore che ha lasciato andare l’uomo fuori dalla sua casa.
Ma il viaggio non è a senso unico. Il viaggio terminerà solo quando l’uomo
tornerà al suo interno.
Dunque il viaggio dentro e fuori
dal Labirinto è un viaggio circolare, in qualche modo, un itinerario
prestabilito le cui tappe corrispondono ai meandri del Labirinto stesso.
Questo viaggio di vita e morte ci
riporta indietro nel tempo e ci consegna l’archetipo del Labirinto dall’altra
parte del globo, a Creta. Qui troviamo un mito fondante dell’Occidente eppure,
ne siamo sicuri, riusciremo a trovare riscontri con il mito del “selvaggio”
ovest di oltre oceano.
Il nome stesso di Labirinto è il
primo mistero, almeno all’apparenza. La prima spiegazione è che abbia a che
fare con il termine Labrys, l’ascia bipenne che a Creta era raffigurata un po’
ovunque e che doveva rappresentare uno strumento importante nei riti religiosi
dell’isola.
Allo stesso tempo, la radice
della parola richiama Labra, Lauria ovvero caverna, antro. Non per niente, il
Labirinto è una costruzione sotterranea per i Cretesi come per gli O’odham. Gli
archeologi, spinti dagli storici ateniesi, identificarono il Labirinto con la struttura dei grandi palazzi, in
particolar modo quello di Cnosso che spicca per la sua complessità. Il palazzo
sicuramente doveva presentare più finalità, non solo luogo del potere politico
ma anche religioso. Non dimentichiamoci che nel mondo minoico, ma possiamo dire
antico in generale, il re incarnava entrambi gli aspetti.
Gli storici ateniesi, o meglio
dire gli scrittori di miti, ci hanno lasciato un nome di re, in particolare,
Minosse, che è diventato il re per eccellenza dell’isola di Creta. Proprio il
suo nome svela la sua funzione sacerdotale dato che significa Beato. Più che un
nome proprio doveva trattarsi di un epiteto riservato alla massima carica
religiosa e civile e veniva attribuito a tutti coloro che ricoprivano questo
ruolo. Il sommo sacerdote utilizzava l’ascia bipenne per colpire a morte le
vittime sacrificali, uno strumento chiave per comprendere il significato del
Labirinto.
L’ascia bipenne si trova presente
nelle culture mediterranee da Creta alla Spagna passando per la Sardegna
nuragica ma vive anche nell’Irlanda celtica, nel mondo vichingo e in Africa.
Verrà utilizzata come strumento rituale per tutta l’era pagana fino alla fine
dell’Impero Romano. In un primo tempo, essa veniva collegata al culto della Dea
Madre ed era un simbolo astrale. La doppia ascia rappresentava le corna della
dea, identificata con una vacca, una dea lunare le cui falci, calante e
crescente, corrispondono alle due asce della bipenne. Tale dea si accompagnava
a una divinità maschile, identificato in un toro e simbolo di luce, di sole.
Ed ecco che, nel nostro percorso,
compare un altro personaggio tipico della mitologia cretese, il toro appunto.
Colui che vive al centro del Labirinto, sotto forma di Minotauro. La sua
storia, così come la conosciamo, è frutto di rielaborazioni posteriori da parte
degli Ateniesi che per secoli furono rivali e succubi dei Cretesi e della loro
potenza marittima. Così vediamo una principessa cretese sottomettersi a un
principe ateniese, tradire la sua patria, la sua famiglia e venire poi
abbandonata senza un’apparente spiegazione a missione conclusa. Ma da questa
narrazione classica all’era del Labirinto sono passati secoli, popoli e culture
si sono succedute nel Mediterraneo, le lingue sono cambiate e così la mente
degli uomini. E poi è noto che la storia la scrivono i vincitori…
Torniamo ai nomi. Arianna, la
purissima, richiama anch’essa una qualità sacra, molto simile a quella del nome
Minosse. Arianna è la signora del Labirinto per eccellenza, colei che guida e
salva, colei che possiede il filo per entrare e per uscire. Nell’iconografia,
era rappresentata insieme ai serpenti e al toro e indossava sempre una corona.
I serpenti sono animali ctoni,
legati al tema della rinascita, della circolarità del tempo e identificati dal
loro andamento a spirale, sinuoso, mai rettilineo.
Del toro abbiamo già detto,
simbolo astrale, era la controparte maschile della dea. Il simbolo delle corna
che ancora adesso sopravvive come forma di scongiuro, richiamava soprattutto
l’antichissima immagine del percorso della luna nel cielo. E ricorda Hathor, la
dea vacca egizia, dea dalla nascita e della morte, che ogni giorno fagocita il
sole per poi restituirlo dodici ore dopo.
Arianna fa parte di questa
schiera anche se i Greci l’hanno declassata dal suo ruolo di dea a quello di
ingenua principessa. Arianna è, come ricorda un’iscrizione trovata proprio a
Creta, la signora che presiede al percorso del Labirinto, un viaggio verso il
centro e poi di nuovo verso l’uscita. Un viaggio per cui serve la sua guida
femminile. Un viaggio che è, allo stesso tempo, nel cielo e sotto terra.
Il Labirinto cretese infatti è
situato sotto terra ma ci sono chiari indizi che il suo percorso avesse a che
fare con la volta celeste.
Il vero nome del Minotauro,
innanzitutto, Asterio, lo stellato. I nomi non sono mai dati a caso nella
mitologia anche se a volte è difficile ricostruirne il significato. In questo
caso però non ci sono misteri. Dunque Asterio, colui che brilla come una
stella, vive al centro del Labirinto, nel ventre della signora e, in teoria,
non può uscirne. È l’omino stilizzato degli O’odham, il dio del Labirinto, è il
sole che viene rinchiuso nelle profondità delle viscere della terra e poi ne
esce, liberato e forte, come Teseo, grazie alla guida di Arianna. Gli Ateniesi
ne hanno fatto un mostro. In effetti, tutti i personaggi del mito cretese hanno
un’ombra di mostruosità. L’amplesso bestiale di Pasifae con un toro, la
condanna di Minosse a divorare con dei serpenti fuoriusciti dal suo corpo le
sue amanti, persino il desiderio sfrenato di Fedra per il suo figliastro e la
sconsideratezza di Arianna nel fidarsi di uno sconosciuto venuto dal mare. Ma,
appunto, gli Ateniesi, dopo secoli di tributi e umiliazioni, secoli in cui
dovettero piegarsi al potere di Creta, scrissero queste storie e si vendicarono
così dei loro antichi nemici.
I serpenti, il toro, la corona
dicevamo.
Secondo il mito, quando Dioniso
trova Arianna piangente sulla spiaggia di Nasso, decide di sposarla e le dona
un diadema che poi viene trasformato nella costellazione della Corona Boreale.
Essa, secondo l’interpretazione di Graves, presiede all’eroe addormentato nello
Spiral Castle o nell’Isola di Vetro come il re Artù dei Celti. Ed ecco che
ritorna il mito solare. Come? Quando il sole sorge nella costellazione del
Cancro si ritrova prigioniero di uno spazio di cielo in cui le stelle sono
disposte come una fitta spirale, come un Labirinto. Il sole ne rimane
prigioniero ed è come morto. Riposa allora in una sede funebre identificata con
la mitica Avalon finché la signora del Labirinto non lo risveglierà dal suo
sonno e lo farà uscire di prigione. Così i Celti, non toccati dal revisionismo
storico degli Ateniesi, ci restituiscono il significato astrale del Labirinto.
Ma il nostro percorso non si
ferma qui.
Nel mito ateniese c’è anche una
danza, detta delle gru o del Labirinto. Una danza a spirale che ricorda appunto
i meandri del Labirinto e ancora oggi sopravvive nel sirtaki. Arianna non è
solo la signora del cielo che libera il sole dalla sua prigione, è anche la
signora degli Inferi, colei che presiede ai cicli di nascita e morte
individuali e universali. Non è un caso che nella tradizione tantrica il
Labirinto è il simbolo del parto, del tortuoso e doloroso percorso del nascituro
nel ventre materno.
Inoltre questo doppio aspetto,
astrale e infero, ci ricorda le sorelle Inanna e Ereshkigal del mito
babilonese. Sorelle ma anche aspetti diversi di una medesima natura. Inanna,
dea della luna, era pura e splendente e, al tempo stesso, dea dell’amore
sensuale, necessario a inaugurare il ciclo della vita. Ereshkigal, al
contrario, era oscura e misteriosa, dea del seme che scompare nel terreno e
ricresce trasformato, dea infera che custodisce il mondo ultraterreno. Questa
coppia divina è legata da un vincolo di parentela difficile da districare con
Nannar o Sin, il dio del Sole. Ancora una volta luna e sole insieme e, molto
probabilmente, almeno al principio, era Nannar a derivare da Inanna. Questo
movimento in su e in giù dei due astri nel cielo viene ancora oggi imitato dal
movimento delle braccia della madre nel cullare il proprio figlio, nel fargli,
appunto, la ninna nanna.
La sorella oscura è sposa del dio
toro, guarda caso, finché esso non viene ucciso da Gilgamesh. In seguito dividerà
il consorte Dumuzi, dio della vegetazione con Inanna. Un chiaro simbolo del
ciclo della natura. Ancora una volta il linguaggio mitico non si fa
intrappolare. Nell'antichità non c’era una religione agricola o una astrale, i
due aspetti non sono antitetici ma si completano a vicenda.
Ma non abbiamo ancora investigato
su un altro elemento sempre presente nel mito del Labirinto: il filo.
Si tratta dello strumento con cui
Arianna aiuta Teseo a sfuggire ai meandri del Labirinto. Il filo ci rimanda ai
cosiddetti miti tessili. Senza andare lontano, già nella mitologia greca ne
possiamo trovare tre: le Moire, Aracne, la donna ragno, e Penelope.
Le Moire erano tre sorelle di età
diversa, figlie di Zeus e di Temi, la giustizia, che letteralmente filavano il
destino degli uomini dalla nascita alla morte. Le corrispondenti latine erano
le Parche che presiedevano alla nascita che dai Romani venivano anche chiamate
Fate, cioè coloro che conoscono e dispensano il Fato, il destino
ineluttabile. Nella mitologia norrena
esse sono invece le Norne che non solo tessevano il destino degli uomini ma lo
sussurravano per mezzo delle rune. Norne infatti significa coloro che
sussurrano ed erano rappresentate con delle rune incise sulle unghie. Il
destino, infatti, non solo si fila ma si pronuncia a voce come faceva Naith, la
dea egizia del telaio, la dea tessitrice delle bende con cui si avvolgevano le
mummie ma anche la dea artefice delle armature dei guerrieri. In lei è chiaro
quindi il legame fra l’innocente telaio, simbolo delle arti femminili, e la
guerra e la morte. Naith distribuisce non tanto la vita, con la sua sapienza,
ma accompagna l’uomo verso la conclusione del suo viaggio che abbia lo
splendore delle armi di guerra o il grigiore delle bende con cui si avvolgevano
i defunti.
Lo stesso legame, meno manifesto,
si ritrova nella dea Atena che nacque adulta e armata dalla testa di Zeus
(Efesto la liberò con un colpo di bipenne, guarda caso). Atena era anche la dea
delle arti femminili e il mito ci spiega che, grazie alla sua abilità al
telaio, annientò la sua rivale, Aracne, che si vantava di essere più brava di
lei. Più probabilmente Aracne è una versione più antica, ferina, della dea, poi
edulcorata dai mitologi greci. Dee ragno si trovano in ogni parte del mondo,
non solo in quello mediterraneo. Ancora una volta torniamo nel selvaggio ovest
dove la dea ragno degli Hopi faceva da tramite fra gli dei e gli uomini,
sussurrando loro il destino che gli era stato assegnato.
Per ultima Penelope. Regina di
una minuscola isola in attesa di un marito perennemente assente? O dea consorte
di un dio solare che attraversa il cielo infero per poi tornare nel giorno del
solstizio infilando con i suoi raggi le dodici costellazioni del cielo
superiore? A questo punto, conoscendo meglio il linguaggio del mito e avendo
incontrato altre dee che aiutano con il loro filo i partner a ritornare
indietro dai tortuosi meandri del Labirinto, la risposta possiamo anche darcela
da soli.
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