Siamo in Turchia, nella provincia di Sanliurfa, in un sito archeologico che sta sovvertendo le sicurezze di secoli di ricerca.
Perché?
Perché se la datazione e l'interpretazione che ne è stata fatta finora fosse corretta, bisognerebbe riscrivere la storia dell'uomo e del suo rapporto con la spiritualità.
Quello che colpisce del sito e che gli è valso il nome di "Stonhenge del Vicino Oriente" è la presenza di una serie di cerchi concentrici di pietre variamente istoriate con immagini di animali più o meno stilizzati. Non si tratta quindi di imponenti pietre grezze appena sbozzate, come in Gran Bretagna, ma di blocchi squadrati e riccamente lavorati.
Secondo gli archeologi, la strana forma a T dovrebbe rappresentare un corpo umano stilizzato. Sul significato di questa interpretazione però vorrei tornare dopo.
Dunque, niente di nuovo, almeno all'apparenza. Un sito molto vasto, in gran parte ancora da esplorare, con dei Dolmen solo più curati dei loro corrispondenti britannici.
Il punto però è che Gobleki Tepe risalirebbe al 9500 a.C.
Esatto. Non era ancora nemmeno iniziata la rivoluzione neolitica, eppure l'uomo, in questa parte del pianeta, sembrava già capace di concepire l'idea di un luogo sacro a cui dedicare anni e anni di lavoro e cure, un luogo sacro in cui tornare in tempi stabiliti per pregare, sacrificare, confrontarsi, raccontare.
Secondo gli studiosi, e basta aprire qualsiasi libro di storia delle superiori per saperlo, in quell'epoca gli uomini erano in grado di fare semplici ragionamenti astratti che niente avevano a che fare con la complessità di una religione. Si è sempre creduto che solo con la sedentarizzazione e l'avvio dell'agricoltura l'uomo abbia cominciato a organizzare il suo pensiero in termini religiosi. Prima esistevano solo semplici pratiche sciamaniche, prima esisteva solo la rozza magia delle popolazioni meno evolute.
E invece...
Invece Gobleki Tepe è preziosa proprio perché ci dice che gli uomini, ancor prima di saper usare la zappa, guardavano le stelle e cercavano risposte alle eterne domande. Già, attraverso questi grandi blocchi di pietra, attraverso la creazione di cerchi concentrici (fino a 20) e attraverso la raffigurazione elegante e aggraziata di animali e piante.
Per quasi un millennio, almeno secondo gli attuali studi, gli uomini di quella parte del mondo si sono dedicati alla costruzione di quest'opera monumentale intorno a cui non sono state ritrovate tracce di insediamento umano. Probabilmente la pietra era destinata agli dei mentre i mortali dovevano accontentarsi di rifugi di pelli e rami secchi.
Per quasi un millennio, gente proveniente anche da luoghi molto lontani si è recata qui per pregare ma anche per contribuire alla crescita di questa meravigliosa fabbrica. Lo dimostrano le recenti analisi alla grande quantità di ossidiana ritrovata nel sito ma proveniente da zone distanti anche 500 km.
Poi, tutto d'un tratto, il sito è stato volontariamente interrato.
Qualcuno ha paragonato Gobleki Tepe all'Eden, il mitico Paradiso Terrestre della Bibbia. L'Eden, con nomi diversi, ricorre nei racconti di moltissime civiltà e potrebbe semplicemente trattarsi della struggente nostalgia nei confronti di una comune casa andata perduta. Ma è anche vero che, in mancanza di nuove scoperte, questo sito si candida a rappresentare il miglior surrogato del Paradiso Terrestre, di una prima casa degli uomini.
Le immagini rappresentate sui monoliti possono solo farci immaginare cosa doveva essere la terra in quel momento e come dovevano sentirsi gli uomini di fronte alla magnificenza di ciò che li circondava.
Sappiamo che in quei luoghi è nata la nostra civiltà, quella mediterranea prima ed europea poi.
Niente si perde nel tempo, tutto si trasforma e resta immutabile.
Tornando alla forma a T dei monoliti, la rappresentazione del corpo umano in maniera così geometrica si ritrova più avanti nel tempo nelle Cicladi e ancora, nell'età del Bronzo, in Sardegna.
Ma perché rappresentarne i corpi istoriati con figure di animali?
Non dimentichiamo che anche i "civilizzati" dei greci avevano un animale totemico, retaggio di un tempo in cui il dio era quell'animale. Le figure zoomorfe potrebbero rappresentare appunto queste divinità in abbozzo o potrebbero essere il tentativo, da parte dell'uomo, di assimilare, attraverso la rappresentazione artistica, le qualità di quegli animali.
Intanto, la ricerca continua ma in attesa di nuovi sviluppi, una cosa l'abbiamo imparata: la ricerca dell'infinito è vecchia quanto l'uomo stesso.
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