Nel 755 l’imperatrice Koken
importò in Giappone la festa cinese di QiXi che venne rinominata Tanabata, la
settima notte. La storia che sta alla base di questa festività è quasi del
tutto identica sia in Cina che in Giappone e ha a che vedere con divinità
celesti che personificano stelle ben precise, Vega e Altair.
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Orihime e Hikoboshi |
Secondo la leggenda giapponese,
Orihime, la stella Vega, viveva sulle sponde del fiume celeste, la Via Lattea. La
fanciulla aveva il compito di tessere gli abiti per suo padre Tentei, l’imperatore
del cielo, ma il suo compito era così assiduo che non le lasciava tempo per
nient’altro e un giorno si sedette sulle rive del fiume piangendo il suo
destino e soprattutto per il fatto che non avrebbe mai conosciuto l’amore. Intenerito
dalle lacrime della figlia, Tentei decise di darle un marito, Hikoboshi, il
mandriano, la stella Altair. I due sposi rimasero insieme per sette anni e non
si conobbe mai una coppia più felice di loro. Ma Orihime trascurò gravemente i
suoi doveri di tessitrice e il padre Tentei decise di punire gli sposi
allontanandoli per sempre, incatenandoli ai lati opposti della Via Lattea. La figlia
però, disperata, continuava a piangere e così il padre decise di concederle un
momento di tregua a questa dura punizione.
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I due amanti si incontrano grazie al volo delle gazze |
Il settimo giorno del settimo mese
lunare i due sposi potevano incontrarsi nuovamente. Se il cielo era sereno
toccava al traghettatore celeste portare Orihime dal suo sposo ma se la
fanciulla non aveva tessuto bene, il padre la puniva riempiendo il cielo di
pioggia che avrebbe innalzato le acque del fiume celeste e impedito al
traghettatore di compiere la traversata. Allora, solo uno stormo di gazze
poteva aiutare i due amanti. Infatti, Orihime poteva incontrare Hikoboshi
volando sulle ali delle gazze celesti.
Una volta all’anno, ancora oggi,
in Giappone, si festeggia il Tanabata. I fedeli scrivono i loro desideri su
foglietti di carta colorati che ricordano i fili tessuti da Orihime. I foglietti
vengono poi appesi a rami di bambù e spesso i desideri hanno a che fare con l’amore.
Il mito cinese, da cui il
Tanabata prende origine, è praticamente identico a parte il fatto che qui la
protagonista Chuh Nu, figlia della dea del cielo, sposa un mortale, un semplice
mandriano, Niulang. L’amore tra i due non è stato un dono della madre di lei,
anzi Chuh Nu lascia spontaneamente i suoi compiti di tessitrice in cerca di
amore e Niulang la irretisce rubandole i vestiti mentre lei fa il bagno. Il finale
della storia invece è identico sia in Cina che in Giappone e si può dire che
questi due amanti celesti siano così famosi che le feste che li ricordano
vengono viste come la versione orientale di San Valentino.
Orihime e Chuh Nu, i cui nomi
significano semplicemente la fanciulla tessitrice, non sono le uniche divinità
celesti a praticare quest’arte tipicamente femminile. Piuttosto si può dire che
anche altri elementi del loro mito sono rintracciabili in storie anche lontane
nello spazio e nel tempo.
Il Kalevala
Si racconta che Vanaimoinen, l’eroe
finnico, un giorno iniziò a intonare una meravigliosa melodia che riuscì ad
affascinare ogni creatura vivente, non solo mortale ma anche divina.
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Paivatar, dea del sole |
Paivatar e Kuntar, sorelle figlie
della dea del Sole, per qualche tempo scordarono il loro compito di tessitrici
proprio ascoltando questa bellissima musica. L’autore del Kalevala ce le
dipinge sedute su nuvole di colore rosso, alla fine di un lungo arcobaleno. L’arcobaleno,
in questo caso, è la Via Lattea dove le due sorelle tessono vesti d’oro e d’argento
per gli altri dei. Paivatar rappresenta l’estate, l’aurora, il giorno e usa l’oro
nel suo lavoro.
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Kuntar, dea della luna |
Kuntar invece rappresenta il crepuscolo, la neve dell’inverno,
la luna e usa l’argento. Le due fanciulle sono seguite da uno stormo di uccelli
non meglio identificati.
I Balcani
Ancora una volta, il sole è identificato
con una divinità femminile, Saule. Madre Sole vive nel cielo insieme alle sue
figlie, le stelle. Il loro compito principale è filare e tessere i raggi del
sole, la luce e i colori del cielo.
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Madre Saule |
Come stiamo osservando, in molte culture il
sole è una divinità femminile. Non dimentichiamo che nel pantheon nipponico, ad
esempio, la dea più importante, da cui discendono tutti gli imperatori del
celeste impero, è Amaterasu, dea del sole, anche lei patrona della tessitura.
Egitto
L’antico Egitto rappresenta, per
certi aspetti, un’eccezione notevole. Mentre, in tutte le altre culture, la
tessitura era un lavoro strettamente femminile, in Egitto anche gli uomini
questo compito, soprattutto sui telai verticali, più faticosi da manovrare. In ogni
caso, le divinità preposte a questa occupazione erano sicuramente donne.
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Neith |
La più
antica è Neith, madre del dio Rha, colei che è, secondo il significato del suo
nome. È una dea difficile da definire proprio perché remota ma anche perché in
epoca storica venne semplificata e “addomesticata” dato il suo passato di
divinità femminile predominante in un mondo ormai dominato dagli uomini. Neith era
la dea preposta alla vita, intrecciava e tesseva reti con cui catturava gli
esseri viventi. Era dunque la dea della vita ma anche della morte e del parto
dato che fu la prima a sperimentare questa fatica delle donne dando alla luce
Rha, il sole.
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Iside |
L’altra dea legata al telaio è
Iside, la grande dea egizia di epoca storica, che inventò questo strumento e lo
donò agli uomini. Simili a Iside sono Tanit, dea fenicia, e Astarte o Ishtar,
dea mesopotamica. Tutte presiedono al matrimonio, alla fertilità, alla guerra e
lavorano al telaio.
Il RigVeda
L’aurora per gli indiani era
annunciata da Usas. Il nome proviene dalla stessa radice dell’Aurora romana ed
è stretta parente anche della greca Eos. Usas possiede un carro con sette
cavalli o meglio sette buoi con cui porta la luce nel mondo ogni mattina.
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Usas |
I sette
buoi ricordano i septem triones, i sette buoi dell’Orsa che corrispondono al
Nord e non è un caso che il numero sette ricorra in molte delle storie che
abbiamo incontrato finora e in altre che hanno a che fare con il sole. Lo stesso
Apollo nacque dopo una gestazione di sette mesi, sette giorni in ritardo
rispetto alla sorella Artemide e i cigni che assistettero al parto volarono
sette volte intorno a Leto.
Usas guida dunque un carro tutto
d’oro e scaccia con la sua venuta gli spiriti notturni. Il suo colore è il rosa
o il rosso, come le nuvole su cui siedono Paivatar e Kuntar.
Le fanciulle cigno
In Irlanda si racconta di Angus
Oeg, il cui nome vuol dire “forte canto”. Figlio di dei, dio dell’amore lui
stesso, si dice che una notte sognò la sua futura sposa sotto l’aspetto di un
cigno. Trovò lei, Caer Ibormeith, e le sue centocinquanta compagne sotto forma
di cigno presso le rive di un lago. Esse erano costrette a rimanere sotto quell’aspetto
da Samhain a Beltain, ovvero da novembre a maggio che per i paesi del nord
Europa corrispondono all’inizio dell’inverno e della primavera. Caer era una
fanciulla tessitrice, così disse a Angus, e lo pregò di trovarla e liberarla. Infatti,
solo se l’avesse riconosciuta in mezzo alle altre, l’avrebbe avuta in sposa. Angus
trasformò sé stesso in un cigno, cominciò a cantare e lei lo seguì.
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Il sogno di Angus |
È interessante notare qui come le
fanciulle sono costrette a rimanere sotto l’aspetto di cigno quando il sole è
meno forte nel cielo e come il loro ruolo di tessitrici quindi si interrompe
nei mesi più freddi. Inoltre anche qui sono legate alla figura di un uccello,
il cigno che abbiamo già incontrato nel mito di Apollo e come il canto ha un
ruolo salvifico nella storia.
In ultimo, Angus Oeg è figlio di
Boann, una dea vacca le cui gocce di latte nel cielo hanno formato la Via
Lattea. Questo spiega forse cosa ci faccia un mandriano come Hikoboshi in mezzo
alle stelle.
Grecia e Roma
Nella Roma arcaica molte erano le
leggi bizzarre imposte al popolo, legate più alla superstizione che a un’effettiva
utilità pubblica. Tra queste, quella che proibiva alle donne di tessere in
pubblico perché portava sfortuna all’uomo che le avrebbe viste.
Probabilmente i Romani avevano
perso il senso profondo di questo precetto e forse anche noi siamo lontani dal
comprenderlo. In ogni caso Romani e Greci erano accomunati anche dal culto
verso due divinità molto simili, Eos e Aurora. Entrambe guidavano un carro con
due cavalli solari, Splendente e Focoso, e coloravano il cielo mattutino con le
loro dita rosa.
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Eos sul suo carro dorato |
Eos era sposata con un mortale come Chih Nu ma stavolta la
storia non ha alcun tipo di lieto fine. Titone era un giovane bellissimo,
fratello di Priamo, ed era abile a suonare e cantare. Eos, innamorata, chiese a
Zeus l’immortalità per il suo sposo e Zeus gliela concesse senza suggerirle che
questo dono sarebbe stato anche la sua condanna. Titone infatti non può morire
ma invecchia e diventa sempre più orribile finché la dea non lo trasformerà
nella cicala. I suoi figli moriranno entrambi e la dea li piangerà ogni giorno,
candide e copiose lacrime coprono infatti la terra ogni mattino: la rugiada.
La tessitura invece è dominio di
Atena, la dea in armatura che condivide con Neith questo doppio ruolo di dea
guerriera e patrona delle arti femminili. Atena, nata dalla testa di Zeus, il
cui simbolo è la civetta, punisce la povera Aracne trasformandola in un ragno
che tesse una tela destinata a essere sempre strappata.
Probabilmente il ragno
era un tempo immagine stessa della dea e simbolo solare ben evidente. Il corpo
del ragno è il nucleo dell’astro mentre le sue molteplici zampe sono i raggi
del sole.
Fra i Norreni
Anche fra i Norreni esisteva una
dea che guidava il carro del sole. Era Sol o Sunna, da cui sun in inglese, e possedeva due cavalli molto simili a quelli di
Eos anche nei nomi: Arvak, la prima alba, e Alsid, l’arsura. Il padre di Sol
era Mundifarre, il filatore del mondo, l’uomo mortale che presiedeva al Mulino
cosmico, che conosceva la misura di ogni cosa.
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Sol e Mani |
Sol e suo fratello Mani, la luna,
erano dunque figli di un mortale, anche se così speciale, e divennero dei come
punizione per l’arroganza del loro padre che li paragonò a due astri.
Frigg invece era una dea di
razza, moglie di Odino e figlia della Terra. Era la protettrice dei matrimoni e
suo era il Filatoio di Frigg ovvero la cintura di Orione.
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Frigg mentre lavora al fuso |
Era proprio Frigg a
far girare le stelle grazie alla spoletta del suo telaio. Quando Odino errava
per il mondo, i suoi fratelli, Vili e Ve, comandavano la reggia celeste sedendo
al suo posto. Loki, sempre un po' maligno, accusò ingiustamente Frigg di
tradire il marito con i due cognati. La dea, inoltre, possedeva un mantello di
piume di falco con cui poteva volare.
Frau Holle
Nei racconti folclorici tedeschi,
si trova lo strano personaggio di Frau Holle. Come Frigg anche lei è patrona
delle paludi e, in tempi anche recenti, venivano abbandonati corpi soprattutto
di bambini e fanciulli morti in queste acque stagnanti. Holle deriva da Hell,
gli inferi, in inglese moderno Hell, l’inferno.
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Hel |
Per i norreni era uno dei regni
cosmici, il luogo in cui giungevano le anime di coloro che non erano accolti
nel Valhalla. Hel era figlia di Loki e presentava una duplice natura: il suo
volto era per metà giovane e per metà cadaverico. Frau Holle è la versione
popolare, ormai priva di ogni elemento divino della precedente Hel. Per giungere
a lei bisogna scendere attraverso un pozzo che portava giù fino al nord
celeste.
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Frau Holle |
La sua duplice natura la collega a Perchta o Berta, divinità dell’Italia
alpina, mezza giovane e mezza vecchia. Perchta vuol dire splendente, bianca eppure
la sua prosecuzione moderna è solo nella figura di vecchia megera anche se il
suo ruolo principale è quello di portare dolci ai bambini buoni alla fine di
Yuletide, il giorno dell’Epifania.
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Perchta |
Sì, proprio la Befana, la proverbiale Berta
che filava che ricorda tempi passati che non ritornano più. Il suo aspetto
cangiante e il nome ricordano la Luna così come il fatto di essere collegata a
tutti gli esseri viventi, anche agli animali, come Artemide, Potnia Theron. La Befana
non per caso viaggia a bordo di una scopa. Si raccontava infatti di Hel che,
quando visitava il mondo, portava malattia e morte e se usava la scopa non c’era
scampo per nessuno.
Omero
Nei poemi omerici troviamo molte
figure di donne tessitrici. Elena, nell’Iliade, è raffigurata nell’atto di
tessere un prezioso tessuto di broccato in cui vengono rappresentate scene
della guerra di Troia. Calipso e Circe tessono e cantano e pare che per Omero
le due occupazioni siano strettamente legate. Ma anche in molte altre culture
tessere è sinonimo di cantare, imbastire canti. Circe è la figura più interessanti
fra le due amanti di Ulisse perché figlia del dio Helios, proprietaria di un
cocchio solare e tessitrice di abiti per il suo divino padre.
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Calipso |
Ma la tessitrice per eccellenza
nell’Odissea è sicuramente Penelope.
La moglie di Ulisse vanta un nome
raro e bizzarro che significa anatra e che nessun’altra porta nella mitologia greca
se non vogliamo credere che la madre di Pan e moglie di Ermes sia un’altra
persona. Il mito racconta che il padre Icario ascoltò su di lei un vaticinio,
quando era ancora una bambina: avrebbe tessuto il sudario del padre. Icario lo
interpreta nel modo peggiore, crede che la figlia finirà per ucciderlo e decide
di prevenire il fatto uccidendola prima del tempo. Penelope viene gettata in
mare ma saranno gli uccelli di cui porta il nome a salvarla. Oltre al fatto che
il mare è l’elemento di sua madre, Peribea, una Naiade.
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Penelope |
Penelope viene poi fatta sposa da
Ulisse il quale la preferisce alla cugina Elena. Mentre tutti i principi di
Grecia sgomitano per avere la più bella Ulisse preferisce questa fanciulla più
quieta e meno pericolosa. Elena tesse una tela di porpora in cui Greci e
Troiani si sfidano a morte, il suo volto bellissimo è fatale a chi la insegue.
Penelope invece diventerà la sua compagna ideale. Ella è in grado di aspettarlo
per lunghi anni mentre la sua casa è insidiata dai Proci. Nell’attesa, e per
ingannare i pretendenti, Penelope tesse il sudario del suocero. Questa tela è
destinata a non essere mai completata ma ha un ruolo importante nel poema. La regina
di Itaca la tesse di giorno e la disfa di notte, un tessuto tutto bianco, senza
alcun disegno, al contrario di quello di Elena, splendente come luna e stelle,
secondo le parole di Omero. La luna e le stelle che brillano nel sentiero del
cielo, lo stesso che Ulisse attraversa nel suo viaggio. Il sole scende nel
mondo dei morti e conosce egli stesso la morte. Nelle sue peregrinazioni va
verso ovest, attraversa i luoghi del cielo più freddi e oscuri, visita i morti
e poi ritorna. Quando Ulisse torna è così cambiato che nessuno lo riconosce,
nemmeno la sua fedele moglie. Solo nel giorno del solstizio egli risorge in
tutta la sua gloria. Il sole che muore e risorge ogni giorno come la tela di
Penelope viene fatta e disfatta ogni giorno, il sole che attraversa le sedi del
cielo boreale e viene insidiato dagli spiriti della notte nel lungo inverno ma
risorge all’apice del solstizio.
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Ulisse massacra i Proci |
Penelope condivide con le sue
colleghe tessitrici la figura dell’uccello, l’attesa e la fedeltà verso lo
sposo come la sfortunata Orihime, il lavoro al telaio come sinonimo di destino
ed eterno ritorno. Ecco perché i Romani non volevano vedere una donna lavorare
al telaio, in essa rivedevano le antiche dee intente a filare il destino di
vita e di morte degli uomini. Come Frigg che nei suoi tessuti inseriva i fili
delle Norne così ognuna di queste dee tessitrici, anche Penelope, è più di una
semplice custode di un lavoro femminile. In lei rivive l’antica dea che
presiedeva, come Neith, come Hel, come Amaterasu, al ciclo della vita e della
morte.